ANNO 14 n° 119
Peperino&Co.
Abbiamo reso Viterbo
una città migliore?
di Andrea Bentivegna
02/07/2016 - 02:01

di Andrea Bentivegna

Era una giornata gelida a Washington il 20 gennaio 1961. Quella mattina, di fronte al Campidoglio, il neoeletto John Fitzgerald Kennedy prestava giuramento come trentacinquesimo Presidente degli Stati Uniti d’America, pronunciando, durate il suo discorso, una splendida frase che passò alla storia: ''Non chiedete che cosa il vostro paese può fare per voi; chiedete che cosa potete fare voi per il vostro paese''.

È vero, l’America che quel giorno si affacciava negli anni Sessanta era una realtà diversa, però questo insegnamento si dimostra ancora oggi una regola universale. Tutti siamo responsabili della società in cui viviamo.

Ecco, è pensando a queste parole che mi domando se noi, nel nostro piccolo, facciamo tutto quanto è nelle nostre possibilità per rendere Viterbo un posto migliore. La risposta, a mio avviso, è disarmante.

Okay, i nostri governanti non sono stati finora irreprensibili (e non parlo solo degli attuali), ma noi abbiamo fatto meglio? Verrebbe da dire proprio di no.

Pensiamo per un attimo al dibattito, eterno, sulla chiusura del centro storico. Io ero un bambino e sentivo politici promettere ''nel giro di pochi mesi'' la fantomatica pedonalizzazione. Beh, diciamo che ormai non ci crede più nessuno, però nel frattempo si fosse visto un viterbese, uno solo, che abbia deciso di lasciare la propria auto fuori dalle mura per farsi una passeggiata. Macché, anzi, giù in macchina fino a piazza delle Erbe o piazza del Gesù, in perenne fila per far mostra di sé o per cercare un parcheggio dentro ai negozi.

Una riflessione, poi, la meritano anche i commercianti, questi coraggiosi imprenditori che ogni giorno affrontano le difficoltà di sopravvivere in una realtà così difficile. Hanno ragione, Viterbo e i suoi vicoli sono sporchi, anzi indecenti, ma loro non hanno qualche responsabilità?

Sì, perché per una vita ci hanno raccontato come i negozianti, preoccupati per le loro attività, fossero i più fermi oppositori a ogni limitazione di traffico, ma poi, da qualche anno a questa parte, fiutata l’opportunità, è stato un proliferare di tavoli e ombrelloni in ogni angolo della città. Davvero ovunque e poco importa se a farne le spese sono le piazze, gli edifici storici e persino le vie più strette e frequentate ormai assediate da tavoli e sedie spesso di alluminio o di plastica.

E le insegne? Una giungla di sgargianti luci a Led e di tabelle luminose che se ne infischiano di palazzi del Trecento.

Certo, detta così diventa una crociata integralista. So bene che il commercio è fondamentale per rendere un centro un luogo vivo ed è anche vero che proprio negli ultimi mesi sono fioriti tanti progetti ammirevoli, associazioni e iniziative che hanno portato gente, ma non si può nascondere che in alcuni casi ci sia un totale disinteresse per la città e la sua bellezza. Vivere all’aperto durante queste calde serate è magnifico intendiamoci, farlo seduti a un tavolo nella cornice insuperabile delle nostre piazze è ancor più bello, ma la cosa sta sfuggendo un po di mano in alcuni casi.

E poi ci siamo noi, i clienti. Beh, noi siamo anche peggio. Andiamo in centro per un paio d’ore, magari la sera,  beviamo un drink e svogliatamente appoggiamo il bicchiere di plastica sul muretto o nel primo vaso a portata di mano, fumiamo la sigaretta buttando la cicca a terra - tra un sampietrino e l’altro- e ce ne infischiamo di chi in centro vive e dorme.

Dovremmo rifletterci un attimo su queste cose. In queste serate in cui tutti parlano di cultura dovremmo tutti chiederci il significato di questa parola perché Viterbo ormai non ne può più fare a meno.

Non possiamo più aspettare le decisioni di una politica che sembra immobile, né possiamo giustificare i nostri comportamenti tirando in causa la mancanza di regole e sanzioni. Siamo noi i primi a dover fare qualcosa per la nostra città. Questa è la vera cultura, non quella che fa spettacolo.





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